Sono convinto che la Psichiatria, come ogni disciplina nel campo della salute, debba prendersi cura della persona nella sua interezza e nel suo contesto, facendo propria una concezione sistemica della vita e della salute.
La psichiatria è una disciplina medica che si propone di curare la sofferenza della psiche, cioè quella che nella nostra cultura occidentale appartiene all’ambito dell’invisibile: mente, emozioni, spirito. I disturbi psichiatrici non possono essere diagnosticati con esami di laboratorio o strumentali, ma sono piuttosto descrizioni delle forme che assume la sofferenza umana.
Si può medicalizzare la sofferenza dell’anima? È una domanda difficile. Però si può dire che a volte essa prende delle forme rigide, come la depressione o gli attacchi di panico, che si possono descrivere come malattie, come se fossero entità astratte. Tenendo sempre presente che non esistono malattie, ma solo malati, persone con la propria esperienza e storia di vita.
Negli ultimi decenni la psichiatria si è potuta proporre come disciplina medica scientifica soprattutto grazie agli psicofarmaci, che hanno permesso di curare anche condizioni mentali gravi. Tuttavia, adesso è chiaro che le promesse iniziali della psicofarmacologia vanno ridimensionate. Quello che gli psicofarmaci possono fare è alleviare la sofferenza nel breve termine, ma nel lungo termine vi sono diversi limiti ed effetti indesiderati.
Perciò a mio parere è necessario che la psichiatria diventi sempre più olistica, mettendo al centro la persona nella sua interezza e integrando diversi strumenti terapeutici. Non solo psicofarmaci, quindi, ma anche fitoterapici e integratori, per esempio. L’attenzione allo stile di vita, in particolare l’alimentazione, l’attività fisica e l’igiene del sonno. L’importanza della gestione dello stress, elemento precipitante di tutte le patologie. E naturalmente il lavoro su di sé attraverso le varie forme di psicoterapia, che è utile accompagnare con la meditazione.
Questi ed altri strumenti terapeutici vanno integrati in accordo col paziente, tagliandoli su misura anche in momenti diversi del percorso di cura.
Questo approccio non promette certo miracoli, ma almeno rimette il paziente al centro del proprio percorso terapeutico, restituendogli il senso esistenziale della propria sofferenza e la responsabilità di prendersi cura di sé. Curare le persone non dovrebbe voler dire semplicemente eliminare il disturbo, ma comprenderlo e integrarlo come espressione di sé. Ricondurlo al libero fluire della vita, in cui la sofferenza è parte ineliminabile, ma ha un valore.
La Gestalt è un approccio psicoterapeutico sviluppato originariamente da Fritz Perls, in una sintesi personale tra diverse scuole psicologiche e tra pensiero occidentale ed orientale. Si tratta di una terapia esperenziale, che si basa cioè sull’esperienza diretta.
La Terapia della Gestalt non consiste nell’applicazione di una teoria, ma piuttosto ha delle radici filosofiche riconoscibili nella fenomenologia e nell’esistenzialismo. La sua pratica si fonda nell’attenzione al presente, e nell’assumersi la responsabilità di esserci nella relazione: Presenza, Consapevolezza, Responsabilità.
Lo spazio terapeutico diventa così un luogo di sperimentazione, dove è possibile contattare aspetti di sé e liberare possibilità di espressione. Questo spazio non è riservato esclusivamente alla parola, ma anche alla presenza fisica, al gesto, all’emozione agita in un contesto sicuro. Ciò è reso possibile dalla cornice della relazione terapeutica, che è una relazione affettiva improntata sull’autenticità e sul riconoscimento dell’altro.
Nell’ottica della Gestalt lo scopo di un percorso di psicoterapia non è semplicemente eliminare le manifestazioni della sofferenza, ma è diventare sempre più sé stessi. Di solito si decide di intraprendere un percorso quando insorgono dei sintomi, delle difficoltà, oppure degli eventi che mettono alla prova. Ed è proprio di fronte alle difficoltà che mettiamo in atto i nostri automatismi, che prima o poi mostrano i loro limiti rivelandosi disfunzionali. Lavorare su si sé in una relazione terapeutica aiuta a riconoscere questi automatismi – che fanno parte del carattere – e a recuperare la possibilità di scegliere, e di vivere più pienamente. Il percorso terapeutico che propongo integra la Gestalt con l’esplorazione del carattere e con la coltivazione di uno spazio meditativo, seguendo l’insegnamento di Claudio Naranjo.
Il percorso può essere individuale o prevedere anche incontri di gruppo, perché è nel gruppo che la Gestalt esprime al meglio le proprie potenzialità di espressione e trasformazione personale.
Il Metodo Tomatis sfrutta l’orecchio come via d’accesso diretta al sistema nervoso e alla persona intera.
È stato sviluppato da Alfred Tomatis, un otorinolaringoiatra francese vissuto nel secolo scorso. Egli ha avuto alcune intuizioni geniali su come l’ambiente sonoro ci plasma fin dal grembo materno, e su come è possibile educare le nostra capacità di ascolto ed espressione. Tomatis ha inventato il primo apparecchio in grado di rieducare l’ascolto – l’Orecchio Elettronico – ed un metodo specifico per accompagnare la persona durante il percorso, che comprende strumenti di valutazione e musica classica opportunamente filtrata.
Perché è così importante rieducare l’ascolto?
In sintesi, allenare la nostra capacità di stare in ascolto ci rende più presenti a noi stessi, più ricettivi e aperti alla relazione.
Una delle intuizioni di Tomatis è che l’apparato uditivo si può considerare un sensore di movimenti fini – vibrazioni – in unità funzionale e anatomica con il vestibolo, il nostro sensore di posizione e movimento in rapporto alla gravità. Perciò l’ascolto è una funzione dinamica, strettamente connessa alla consapevolezza della nostra postura nel mondo, e di cosa si muove intorno a noi. Inoltre l’ascolto ci consente di modulare la voce, lo strumento con cui ci relazioniamo. Tomatis paragonava il linguaggio ad una specie di arto invisibile, grazie al quale possiamo toccare chi ci ascolta. E naturalmente è così anche per la musica.
Perché si usa la musica?
Che la musica nell’evoluzione dell’uomo abbia preceduto il linguaggio è un’ipotesi accreditata da diversi studiosi. La musica è una forma di comunicazione preverbale, che veicola direttamente le emozioni e l’esperienza umana. Ci mette in contatto con noi stessi e ci sintonizza con gli altri, in modo diretto. Ci trasmette un sentire non mediato da simboli.
E poi c’è la Grande Musica, che – come sostiene Claudio Naranjo – ci porta anche oltre la dimensione individuale facendoci incontrare qualcosa di universale. La musica di Mozart, di cui Tomatis ha fatto ampio utilizzo, ne è un esempio: è piena di un’allegria infantile che fa amare la vita anche di fronte al dolore.
Si tratta di una musicoterapia?
Se adottiamo il punto di vista scientifico – quello del nostro emisfero sinistro – il Metodo Tomatis è una stimolazione neuroacustica, che sfrutta la capacità del cervello di adattarsi aprendo nuove connessioni (neuroplasticità). La musica in questo senso è il supporto, l’esca sonora che serve a catturare l’attenzione per proporre un nuovo modo di ascoltare.
Da un altro punto di vista – quello del nostro emisfero destro – quello con la musica è un incontro, che ci porta direttamente nella dimensione dell’umano toccandoci tanto più profondamente quanto più sappiamo ascoltare. In questo senso possiamo dire che il Metodo Tomatis è una musicoterapia.
Questi due punti di vista sono complementari.
A cosa serve, e a chi si rivolge?
A stimolare l’attenzione, la concentrazione e la memoria. Per esempio nei disturbi da deficit d’attenzione, nella dislessia, o semplicemente come aiuto nello studio.
Nei casi di chiusura relazionale, fino all’estremo dell’autismo.
Come preparazione o coadiuvante alla psicoterapia.
Ci sono diversi altri campi d’applicazione, come l’apprendimento linguistico e musicale, o la logopedia, che esulano dalle mie competenze. In generale, comunque, tutti possono beneficiarne.
In cosa consiste in pratica
Una prima fase consiste in uno o più cicli intensivi di sedute di ascolto di musica modificata da filtri elettronici. Le sedute si effettuano a casa, con un apposito apparecchio e cuffie dotate di conduzione ossea.
In un secondo tempo è possibile passare ad una fase attiva, in cui all’ascolto di musica si associa la lettura a voce alta con microfono e cuffie, sempre utilizzando l’apparecchio. Questo esercizio migliora l’autoascolto e l’espressione vocale.
Stress
Insonnia
Ansia, attacchi di panico
Depressione
Deficit d’attenzione
Difficoltà relazionali
Crisi personale